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Convegno “Dopo Durban, verso il Vertice di Rio+20: il Clima si può ancora salvare?”

Convegno “Dopo Durban, verso il Vertice di Rio+20: il Clima si può ancora salvare?”

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Si è svolto il 15 dicembre a Roma il convegno promosso dalla Fondazione Centro per un Futuro Sostenibile dal titolo: “Dopo Durban, verso il Vertice di Rio+20: il Clima si può ancora salvare?”.Un’iniziativa fissata all’indomani della conclusione, controversa, del Summit di Durban e un’occasione per fare il punto sulla Roadmap 2050, che costituisce l’impegno politico per un vero rilancio delle politiche per lo sviluppo sostenibile, attraverso l’attuazione di una tabella di marcia verso un’economia a basse emissioni di carbonio. I lavori sono stati coordinati dal Sen. Francesco Rutelli, Presidente della Fondazione e hanno visto la partecipazione del Ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, dell’On. Mario Pirillo, relatore del rapporto “Roadmap 2050” alla Commissione Industria del Parlamento Europeo, dei Membri del Comitato Scientifico della Fondazione Centro per un Futuro Sostenibile, il Prof. Alessandro Lanza e Marzio Galeotti, Professore ordinario di Economia dell’Ambiente e dell’Energia dell’Università di Milano. Infine, ha dato il suo contributo l’Ing. Carlo Manna che ha riportato la visione dell’ENEA.  A pochi giorni dalla conclusione della diciassettesima conferenza delle parti (COP17) svoltasi a Durban, cui hanno preso parte i delegati e rappresentanti di governo di quasi 200 paesi, il convegno del CFS ha tirato le somme di quella che è stata definita, a detta di molti, un “fallimento evitato”.  “Sembra niente, invece è moltissimo se guardiamo alla storia dei negoziati” sul clima, ha affermato il Ministro Clini sottolineando il ruolo attivo svolto dall’Unione Europea nel conseguimento del risultato del vertice. “L’accordo che si è riuscito a strappare all’ultimo minuto ai grandi emettitori come Usa, Cina e India con la formula “a non binding agreement to reach a binding agreement” racconta molto delle difficoltà del negoziato” secondo i Prof. Galeotti e Lanza. “Non dovrebbe mai essere dimenticato che il negoziato sul cambiamento climatico resta intrinsecamente molto complesso per diversi motivi. Il primo: il pericolo è nettamente al di fuori del perimetro elettorale di qualunque amministrazione.” Sulla carta, la Conferenza di Durban si è tradotta in una piattaforma che avvierà un tavolo di trattative che porteranno alla firma di un trattato globale, legalmente vincolante, di riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra entro il 2015, che diventerà operativo entro il 2020. La forma non è stata definita: potrebbe essere un protocollo, un altro strumento legale o un altro strumento attuativo, ma con valore legale per tutti i 194 Paesi dell’UNFCCC, e non solo per i paesi industrializzati. Resta evidente a questo punto perché numerose organizzazioni ambientaliste abbiano registrato questo risultato come un insuccesso, leggendo la dilazione nel tempo come l’elemento cardine dell’accordo.  Ormai è noto che il Protocollo di Kyoto non sia lo strumento adeguato per affrontare i cambiamenti climatici, ma si è deciso di mantenerlo vivo essendo l’unica struttura internazionale da utilizzare “come ponte per arrivare ad un accordo nel 2015” secondo il Ministro dell’Ambiente, Clini. Si sa già però che Russia, Canada, Giappone e Usa sono fuori della seconda fase di Kyoto. Si è dato il via al ‘Green Climate Fund’ come istituzione finanziaria della UNFCCC con personalità giuridica e capacità legali ma non è stato definito come sarà finanziato, perché sarebbe stato difficile a causa del contesto di crisi economica globale.  Il Summit di Durban è stato importante non soltanto dal punto di vista ambientale ma anche dal punto di vista geopolitico. Infatti, si è spostato l’equilibrio fondato sul rapporto tra Europa e Stati Uniti e tra Stati Uniti e Cina a favore delle grandi economie emergenti e dell’Europa. Per la prima volta Cina, India, Brasile, Messico e il Sudafrica hanno intrapreso un partenariato con l’Europa in un’alleanza per lo sviluppo e la diffusione commerciale delle tecnologie per ridurre le emissioni di CO2 e per proteggere le risorse naturali e forestali. Questo dialogo sarà incentrato sulle politiche interne che queste economie hanno già avviato. L’autoesclusione degli Stati Uniti nello svolgere un ruolo determinante durante la conferenza è coerente con le scelte di Washington negli ultimi  quindici anni, aggravato delle preoccupazioni in vista delle prossime elezioni. La possibilità che gli Stati Uniti restino fuori è molto alta. Dal dibattito del CFS sono emerse considerazioni importanti riguardanti il ruolo centrale dell’Unione Europea in questo negoziato e la Roadmap 2050, fase successiva del pacchetto Clima ed Energia conosciuto come il 20 – 20 – 20, che persegue la decarbonizzazione di un 80-95%delle emissioni di carbonio rispetto ai livelli del 1990 dell’intera economia e le nuove sfide che aspettano l’Italia.  Si è fatto riferimento all’importanza “di una fiscalità energetica” e pertanto la necessità di portare avanti presto la revisione della direttiva dell’Unione Europea sulla tassazione energetica; della possibilità di ‘aprire la strada ad una Carbon tax’, della riconversione a una chimica ‘verde’ e di riuscire a ridurre il debito italiano magari grazie a risorse derivanti dalle aste per i permessi di emissione di CO2. Se è vero che dopo Durban forse il Clima non è ancora salvo, è altrettanto vero che è salvo il negoziato, grazie alla COP17.

Non resta dunque che preparare la tappa di Rio+20 l’anno prossimo in Brasile, che dovrà essere un primo passo verso un accordo globale finalmente efficace.

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Scarica i documenti del convegno in PDF:

Centro per un Futuro Sostenibile Via degli Zingari, 15 - 00184 Roma (tel. +39 06.87570009)