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Quale energia per il nuovo Governo?

Quale energia per il nuovo Governo?

di Alessando Lanza

Tra Imu ed esodati, nuova legge elettorale ed abolizione delle province, la questione energetica del nostro Paese rischia di rimanere ancora una volta schiacciata nell’agenda del governo Letta. Eppure non sarebbe difficile dimostrare, dati e fatti alla mano, l’estrema pervasività della questione nella vita di tutti giorni. Un tema che riguarda tanto le imprese quanto i cittadini.

Tuttavia, per una serie di ragioni che sarebbe lungo elencare, l’attenzione dell’opinione pubblica e dei giornali su questi temi, più che andare a fondo su alcune questioni fondamentali, si lega unicamente alle uscite estemporanee di qualche ministro sull’antica e sepolta (almeno per ora) questione nucleare. Nell’intraprendere questa nuova legislatura, sarebbe inoltre auspicabile che il Governo faccia il possibile, pur nelle difficoltà, di uscire dalla logica delle gestione emergenziale che troppo spesso ha caratterizzato la nostra politica energetica.

È certo che i problemi che il nuovo governo dovrà affrontare sono diversi, articolati, complessi e sovrapposti e che le risorse economiche da poter utilizzare per farvi fronte non siano certamente abbondanti.

Nel marzo di quest’anno, attraverso un decreto interministeriale, i ministri Passera e Clini hanno approvato un documento (Strategia energetica nazionale: per un’energia più competitiva e sostenibile) che, nelle intenzioni degli autori “esplicitasse in maniera chiara gli obiettivi principali da perseguire nei prossimi anni, tracciasse le scelte di fondo e definisse le priorità d’azione, sapendo di agire in un contesto di libero mercato e con logiche complesse e in continuo sviluppo, che richiederanno quindi un processo regolare di monitoraggio e di aggiornamento di scenari e obiettivi.”

Obiettivo nobile e alto. Tuttavia non è difficile prevedere il destino finale di questo documento poiché le difficoltà che attraversano il paese, inclusa la creazione di un nuovo governo di ampia coalizione, rimetteranno necessariamente la riflessione sui temi dell’energia dell’ambiente al centro del dibattito con un nuovo, diversificato e forse più ampio dibattito. La Sen, al meglio, potrà essere considerata un documento da cui partire ma può essere anche possibile che questa sia superata nei fatti. La presenza nel governo del prof. De Vincenti, che ha avuto un ruolo di primo piano nell’elaborazione della Sen potrebbe evitare questa possibilità.

Val la pena di ricordare che gli obiettivi della politica energetica auspicati dal governo Monti erano tutti degni d’attenzione: la sostenibilità ambientale, la sicurezza degli approvvigionamenti, la riduzione della bolletta energetica e la crescita economica. Tuttavia, anche in considerazione degli incerti orizzonti anche temporali che governo dovrà affrontare, sarà utile a parere di chi scrive concentrarsi su pochi elementi che più di altri mostrano evidenti segni di difficoltà ed urgenza nell’elaborazione di politiche incisive.

L’evoluzione dell’offerta di energia elettrica.

Concentrarsi su questo settore significa evidenziare, anche a livello qualitativo, le relazioni che esistono tra i vari elementi dell’offerta elettrica. Al ragionamento che segue, andrebbero premesse alcune considerazioni puntuali sulla domanda elettrica ovvero quando le condizione economiche consentiranno il recupero di consumi in grave crisi negli ultimi anni. Il settore elettrico, tuttavia mostra alcune specificità, alle quali è opportuno richiamare l’attenzione del Governo.

Esse si possono così riassumere:
a) le ricadute della crisi economica sul settore elettrico si manifestano in termini di seria contrazione della generazione e di notevole riduzione dei margini d’impresa;
b) senza voler demonizzare le fonti rinnovabili, va segnalato tuttavia come l’enorme (e spesso certamente oltre il fisiologico) sviluppo del fotovoltaico – circa 12,6 mila megawatt di nuova potenza installata dalla fine del 2011 per un investimento complessivo nell’ordine di oltre 30 miliardi di euro ed un costo di incentivazione superiore ai 6 miliardi all’anno per vent’anni – ha determinato uno squilibrio nel mercato elettrico, generando costi ulteriori e crescenti della generazione termoelettrica, in particolare dei cicli combinati a gas naturale. Il quinto, e forse ultimo Conto Energia Fotovoltaico, termina col raggiungimento di un tetto di spesa cumulato per gli incentivi di 6,7 miliardi di euro e non manca molto al raggiungimento di questa quota. Superato questo livello, non ci saranno più incentivi per i nuovi entranti fatti salvi i diritti di quelli che nel marcato già operano.
c) il sistema di trasmissione dell’energia elettrica presenta a sua volta alcune pecche che l’operatore per la trasmissione (Terna S.p.a) fatica a risolvere a causa di procedure autorizzative che arrivano a durare in qualche caso anche dieci anni. Per questa ragione, in alcune zone d’Italia, impianti obsoleti e bassa efficienza sono costretti a marciare a pieno regime mentre in altre impianti di recente realizzazione e ad alta efficienza rimangono quasi inattivi – talvolta anche al di sotto delle 2 mila ore annue.

Il settore della raffinazione

Un secondo tema che deve essere affrontato a fondo riguarda il riordino del settore della raffinazione dei prodotti petroliferi. L’impatto economico e sociale è spesso trascurato e viene spesso erroneamente catalogato tra i temi dedicati agli specialisti della materia. Tuttavia va ricordato che la raffinazione ha rappresentato per anni un fiore all’occhiello del nostro sistema industriale, con un notevole impatto sociale sia in termini di occupazione (oltre 100.000 mila persone tra diretto ed indotto) e di investimenti sul territorio (oltre 22 miliardi negli ultimi 20 anni, con la previsione di ulteriori 6 miliardi entro il 2014), che di contributo alle casse dello Stato (37 miliardi di euro all’anno), ma che attualmente sta attraversando una profonda crisi strutturale che ne mette a rischio la stessa sopravvivenza. Una crisi non solo italiana, ma anche europea, figlia della drastica riduzione dei consumi petroliferi domestici (oltre 20 milioni di tonnellate in meno nel periodo 2004-2012) e dalla forte concorrenza dei paesi extra-europei.

Complessivamente il settore sta attraversando una crisi profonda che deriva dalle mutate condizioni di mercato, alti prezzi della materia prima, crisi economica generalizzata che induce riduzioni di domanda. Per molti anni le raffinerie europee hanno affrontato margini negativi ovvero una situazione anomala del mercato in cui il prezzo della materia prima (il greggio) era superiore al prezzo di vendita dei prodotti che col greggio si ricavano. Data questa crisi non deve sorprendere che tra novembre 2011 e settembre 2012, il Parlamento (X Commissione della Camera dei Deputati) abbia condotto una “Indagine conoscitiva sulla crisi del settore della raffinazione in Italia”. Secondo un’analisi condotta della Wood Mackenzie (un importante consulente internazionale), il 75 per cento delle raffinerie presenti in Europa oggi non sia più economicamente sostenibile. Questo valore era pari al 25 per cento del 2009.

Oltre alla crisi economica ed ad alcuni cambiamenti strutturali che datano almeno un decennio, la situazione si è fatta via via complessa in considerazione anche delle recenti novità del settore upstream degli Stati Uniti. L’incremento della produzione interna tanto di petrolio quanto di gas per un gigante come gli Stati Uniti non potrà non riflettersi sulla situazione anche del downstream europeo. In altri termini: negli ultimi 15 anni il mercato europeo è stato caratterizzato da una sovrapproduzione (rispetto alla domanda interna) di benzina. Questa sovrapproduzione è stata spesso legata alla scelta europea di essere sostanzialmente autosufficiente per quanto riguarda la produzione di gasolio. L’eccedenza di domanda veniva esportata negli Stati Uniti. Se le nuove condizioni di mercato interno degli Stati Uniti dovessero subire ulteriori modifiche, una riflessione sulla struttura interna della raffinazione europea sarebbe ineluttabile.

L’offerta del gas naturale

Un terzo elemento di particolare attenzione riguarda la struttura dell’offerta del gas naturale. E’ arci noto che in questo momento il nostro paese soffre di una struttura di contratti piuttosto rigidi sul lato dell’offerta sperimentando nello stesso tempo un momento di difficoltà sul lato della domanda dettato non solo dalla crisi economica ma anche dalla struttura delle rinnovabili nel settore elettrico di cui abbiamo già accennato. Un ripensamento complessivo potrebbe essere necessario anche alla luce, ancora una volta, dei più recenti sviluppi relativi allo shale gas negli Stati Uniti e non solo.

Molto spesso – e la SEN si focalizza molto su questo punto – una soluzione proposta passa attraverso la realizzazione di nuove strutture di importazione di rigassificatore (GNL).

Può essere preliminarmente utile al riguardo domandarsi dove un operatore che intenda investire nel GNL potrebbe volgere il proprio sguardo. Quale area del mondo resta più profittevole, almeno in linea teorica? L’Europa non è fra le aree più indicate non fosse altro perché ha prospettive meno interessanti in termini di volumi di crescita e perché i margini sono meno interessanti rispetto ad altre parti del mondo.

Il tema dell’hub europeo circola nel nostro paese da circa quasi 10 anni. Nel frattempo altri Paesi del Nord Europa si sono velocemente attrezzati con infrastrutture adeguate sostenuti da contratti a lungo termine. Nel settembre del 2011 a Rotterdam è stato inaugurato il terminal GATE (Gas Access to Europe) un impianto da 13 miliardi di metri cubi di cui si prevede nel futuro un’espansione a 16. L’impianto, che si estende in una superficie di 35 ettari nei pressi dell’area portuale di Rotterdam, porterà energia a 7 milioni di famiglie nei Paesi Bassi e molte altre in Germania. Il gas liquefatto passerà nell’impianto di rigassificazione, per poi venir immesso nelle reti di distribuzione.

A Dunkerque (Francia) nel 2015 potrebbe entrare in esercizio un nuovo terminal da 13 miliardi/anno che – secondo le intenzioni dei proponenti – è destinato solo marginalmente al consumo interno.
Chiarito dunque che un terminal, specie se di grandi dimensioni, nasce solo a valle di un processo che vede comunque l’esistenza – ancorché non assoluta – di un contratto a lungo termine può essere legittimo chiedersi se esista uno spazio di convenienza economica in Italia per un investimento greenfield di un rigassificatore.

Per le ragioni appena dette, la convenienza è legata alla possibilità di stipulare un nuovo contratto (presumibilmente di lungo periodo) con un produttore spuntando un prezzo che sia tale da battere sul terreno del mercato una parte dell’offerta oggi disponibile. Esiste poi un altro importante competitore di cui bisognerebbe comunque preoccuparsi. La capacità di rigassificazione Europea non utilizzata è ancora enorme se si considera che nel corso del 2012 sia stata utilizzata circa la metà della capacità di rigassificazione disponibile.

Le sfide non mancano e il tempo, come al solito, è tiranno. Cerchiamo di non farci trovare impreparati alle difficoltà che ci attendono.

 

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