Siamo a metà del cammino, il traguardo è ancora lontano e il tempo sta per scadere. Dobbiamo agire subito, se vogliamo che il secolo verde – iniziato nel 1970 con il primo Earth Day e destinato a concludersi cento anni dopo, quando l’India, il paese più popoloso del mondo, dovrebbe azzerare le proprie emissioni di anidride carbonica – non si tramuti in un secolo grigio, o addirittura nero. Ci sono profonde conseguenze del ritorno della guerra nel cuore dell’Europa anche per le politiche energetiche.
Secondo l’ultimo rapporto 2023 dell’ Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il gruppo intergovernativo dell’ONU responsabile della scienza del clima, la Terra si sta riscaldando a una velocità senza precedenti. L’ultimo decennio è stato il più caldo degli ultimi 125.000 anni, e l’utilizzo di combustibili fossili mette sempre più a rischio l’obiettivo di contenere sotto 1,5 gradi l’aumento delle temperature come siglato dall’accordo di Parigi.
Nonostante questi dati poco rassicuranti sul futuro del nostro Pianeta, una buona notizia c’èe riguarda le rinnovabili.
La Fine dell’era Fossile
Tra il 2010 e il 2019 si sono osservate importanti riduzioni del costo unitario dell’energia solare, dell’energia eolica e delle batterie agli ioni di litio.
Cosa significa? Secondo gli esperti le emissioni di CO2 generate dal settore energetico globale hanno raggiunto il loro massimo storico nel 2022 e da quest’anno dovrebbero iniziare a calare. Questa buona notizia emerge dall’ultimo rapporto del think tank Ember, che raccoglie i dati di 78 Paesi del mondo (che rappresentano il 93% della domanda globale di elettricità), mostrandoci in modo accurato come sta andando la transizione elettrica globale.
Si può dire che siamo “all’inizio della fine dell’era fossile”, infatti nel 2022 si è raggiunto un nuovo record: insieme tutte le fonti di energia pulita hanno prodotto il 39% dell’elettricità globale, di cui il 12% si attribuisce solo ad eolico e solare.
La strada è ancora lunga. Infatti, c’è sempre da ricordare che al momento il carbone rimane la principale singola fonte di elettricità a livello mondiale: nel 2022 ha prodotto il 36% dell’elettricità globale. E per centrare gli obiettivi climatici, secondo i modelli dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, entro il 2030 dovremmo produrre il41% dell’energia elettrica globale solo con l’eolico e il solare.
Eolico e Solare: Mai così Tanti Mai Così Economici
In un decennio, il costo dell’elettricità prodotta da energia solare è scesa dell’89% e quella da eolico (terrestre) del 70%. Per dare un esempio, se nel 2009 costruire un parco fotovoltaico costava il 223% in più rispetto alla costruzione di una centrale a carbone, adesso è il contrario.
Secondo l’ultima analisi annuale del costo dell’energialivellata di Lazard:
L’energia solare è stata la fonte di elettricità in più rapida crescita per il diciottesimo anno consecutivo, con un aumento del 24% rispetto al 2021 e una produzione sufficiente ad alimentare l’intero Sudafrica.
La generazione eolica globale è aumentata del 17% nel 2022, e si stima sia abbastanza da alimentare quasi tutto il Regno Unito.
Impianti solari ed eolici sono fonte di energia inesauribile e green. Non solo potrebbero essere la principale soluzione per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra o altri inquinanti, ma sono anche la prima risorsa per l’indipendenza energetica del nostro Paese.
Infatti, dopo due anni di pandemia e lo scoppio del conflitto Russo-Ucraino l’Italia ha visto uno spropositato aumento dei prezzi di luce e gas e la risposta risiede nella transizione energetica.
Le Prossime Sfide delle Rinnovabili
Tuttavia, come tutte le fonti di energia anche il solare e l’eolico hanno alcuni limiti.
Il principale è la loro dipendenza dalle condizioni atmosferiche:
L’energia solare viene prodotta solo quando il sole è alto, dunque non è disponibile durante la notte e quasi non produce energia in caso di nuvole e pioggia.
Invece, le pale eoliche sono attivate solo quando il vento raggiunge una determinata velocità (3–5 m/s) e ovviamente hanno un rendimento efficace solo in determinate zone morfologiche e climatiche.
Da qui nasce la vera sfida sul fronte dell’energia pulita: lo stoccaggio dell’energia in eccesso. Infatti, per raggiungere l’indipendenza dai combustibili fossili, si dovrà rendere efficiente ed economico questo processo. Grazie al progresso tecnologico i dati sono confortanti: il prezzo medio dei sistemi di accumulo al litio è calato dell’85% dal 2010 al 2018 (Bloomberg New Energy Finance).
Un altro limite potenziale è che l’installazione di impianti solari ed eolici richiedono una quantità significativa di terra che non sempre è reperibile, soprattutto stando ai limiti paesaggistici del nostro Paese. Questa barriera potenziale può essere in alcuni casi superati attraverso nuove tipologie di impianti, come l’agrovoltaico (che vede lo stesso terreno essere utilizzato per coltivare cibo a terra e coperto da pannelli fotovoltaici) e l’eolico offshore ( impianti eolici in mare aperto).
Di Alessandro Lanza e Marzio Galeotti FONTE: LaVoce.it
La riduzione delle accise significa la disponibilità della politica a sospendere l’azione climatica per evitare la stagflazione. È un messaggio negativo. La riforma fiscale annunciata dal governo dovrebbe invece aumentare la tassazione sule fonti fossili.
Di Alessandro Lanza e Marzio Galeotti FONTE: LaVoce.it
Il bilancio della Cop27 è magro: ben pochi i progressi su questioni cruciali. Fa eccezione l’accordo sul fondo “loss & damage”. Ma l’iniziativa non sembra in grado di dare un contributo concreto alla soluzione del problema dei cambiamenti climatici.
Di Alessandro Lanza e Marzio Galeotti FONTE: LaVoce.it
Le tensioni internazionali peseranno sui risultati della Cop 27. La stabilità geopolitica è infatti una condizione necessaria per progressi concreti sui cambiamenti climatici. Poco ottimismo anche sulla questione dei finanziamenti per la mitigazione.
Di Alessandro Lanza e Marzio Galeotti FONTE: LaVoce.it
La guerra di Putin contro l’Ucraina avrà riflessi sulle forniture di gas, anche al nostro paese. Prima di pensare ai costi più alti, si tratta di coprire un buco di 33 miliardi di Smc di gas russo, tra incremento della produzione nazionale e nuovi fornitori.
Il consumo di gas in Italia
La guerra che la Russia di Putin ha scatenato contro l’Ucraina ha richiamato l’attenzione sulla situazione energetica europea e in particolare sul mercato del gas.
Per quanto riguarda il nostro paese, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha illustrato con chiarezza in Parlamento alcuni elementi centrali. Il primo è che l’Italia è tra i paesi europei più legati a Mosca quanto a forniture di gas naturale. La Tabella 1 riporta i dati pubblicati dal Ministero della Transizione ecologica riferiti al 2019, per evitare l’effetto causato dal coronavirus. In Italia il consumo totale di gas naturale ammonta a 71,5 miliardi di Smc (metri cubi standard); il settore residenziale assorbe la maggior parte della disponibilità di gas, con una percentuale pari al 44 per cento del totale dei consumi, seguito dal settore termoelettrico (36 per cento) e da quello industriale (20 per cento). La domanda di gas naturale è soddisfatta per circa il 5 per cento dalla produzione nazionale e per la parte restante dalle importazioni. Nell’anno 2019 sono stati importati in totale 71 miliardi di Smc di gas, utilizzati in parte per soddisfare i consumi e per il resto accantonati nei siti di stoccaggio. Il 13 per cento delle importazioni totali è dato dal gas naturale liquefatto (Gnl).
A Flourish data visualization
I principali esportatori di gas verso l’Italia sono (in parentesi la percentuale sul totale delle importazioni):
Russia: 33,4 miliardi Smc (pari al 46 per cento)
Algeria: 13,4 miliardi Smc (pari al 18,8 per cento)
Qatar: 6,5 miliardi Smc (pari al 9,2 per cento)
Norvegia: 6,1 Smc (pari all’8,7 per cento)
Libia: 5,7 miliardi Smc (pari all’8 per cento)
Nel 2021, è entrato in funzione il gasdotto trans-Adriatico (Tap) per trasportare il gas dalla Turchia attraverso Grecia e Albania fino in Italia con approdo a Melendugno (Puglia). Attualmente l’impianto eroga 8 miliardi di Smc di gas all’anno, con la previsione di raggiungere i 10 miliardi di Smc nell’estate del 2022 e arrivare in futuro a una capacità di erogazione massima pari a 20 miliardi di Smc.
La posizione di Bruxelles
In queste ore, si vanno delineando le posizioni di Italia e Ue rispetto all’offerta che proviene dalla Russia. Gli uffici della Commissione europea valutano con molta attenzione un possibile piano di emergenza per far fronte all’eventuale blocco delle forniture; sembra appurato che il sistema europeo delle scorte dovrebbe comunque reggere a un’interruzione. Scatterebbe, a quel punto, il meccanismo di solidarietà richiamato da Mario Draghi in Parlamento. In definitiva la Commissione non sembra essere troppo pessimista sui rischi energetici per l’inverno: «Non ci troviamo in una situazione nella quale improvvisamente potremmo trovarci senza gas e in ogni caso il livello degli stock è al 30 per cento delle capacita», è stato spiegato.
Bruxelles appare ottimista, o almeno mostra di esserlo, anche sui risultati dei contatti in corso con fornitori di gas diversi dalla Russia. A gennaio c’è stato un record di forniture di gas naturale liquefatto con 10 miliardi di metri cubi standard forniti in via straordinaria grazie alla “diversione” dei trasporti in mare dalla destinazione originaria. La valutazione dell’Ue è in linea con quella di consenso, anche se è un fatto che i livelli degli stock europei, sebbene diminuiti meno di quanto originariamente atteso, sono al minimo degli ultimi dieci anni. Non è un caso che Bruxelles abbia deciso di invitare gli stati membri a garantire un livello minimo adeguato entro fine settembre di ogni anno. Da segnalare però che secondo il Qatar, uno dei maggiori esportatori mondiali di gas, sul quale tanto insiste l’Italia, «sostituire rapidamente le forniture russe è quasi impossibile». È di oggi la notizia che il Giappone fornirà all’Europa parte delle sue importazioni di Gnl, per le difficoltà che il Vecchio Continente affronta a causa della crisi ucraina. E oltre che con il Qatar, sono in corso colloqui con Egitto, Azerbaigian e Nigeria.
La Tabella 2 mostra come l’Europa abbia già assorbito molto Gnl dagli Stati Uniti, anche se parte di esso va ancora in Asia. Le forniture americane non avrebbero un merito economico: dal mero punto di vista dei costi, infatti, la competizione ipotetica tra una nave Usa e il gas che proviene dalla Russia sarebbe comunque a tutto vantaggio di quest’ultima. Ma evidentemente la sicurezza degli approvvigionamenti ha una valenza e un valore economico.
A Flourish data visualization
In questa fase, tuttavia non è ancora possibile comprendere come si potrebbe realizzare la riduzione di offerta da parte della Russia. Mosca potrebbe decidere di tagliare le forniture come fece qualche anno fa in occasione della prima crisi ucraina. Stando alle dichiarazioni recenti dei vertici di Gazprom, l’ipotesi sembra però al momento poco probabile. Stante la preoccupazione di alcuni governi europei, compreso quello italiano, l’ultima versione delle sanzioni finanziarie prevederebbe un blocco dello Swift “selettivo”, che permetta solo le operazioni che si riferiscono ai pagamenti per forniture di gas. Nella sua versione estrema il blocco dello Swift risulterebbe nell’impossibilità di importare gas dalla Russia perché di fatto non sarebbe possibile pagare le forniture. Questo comporterebbe dei costi laddove siano in vigore dei contratti take or pay che prevedono che il gas non ritirato vada comunque pagato.
I metri cubi da trovare
Prima ancora di preoccuparsi dei maggiori costi – che sicuramente ci saranno e che rappresenteranno il prezzo della fermezza dell’Europa di fronte alla violazione del diritto internazionale – ci si può chiedere come il nostro paese potrebbe coprire l’eventuale buco della mancata fornitura di 33 miliardi di Smc russo. Il governo ha deliberato di incrementare la produzione nazionale, che dovrebbe arrivare a 6,5 miliardi di Smc e che andrebbe a beneficio delle imprese energivore e alle piccole e medie imprese. Ciò ridurrebbe il fabbisogno residuo dell’industria, secondo la Tabella 1, a 7,5 miliardi.
L’altro capitolo su cui intervenire è la generazione elettrica. Anche se è difficile fare previsioni, o meglio ancora congetture, il governo ha fatto capire di essere pronto a riattivare le centrali a carbone in fase di dismissione (dovrebbe essere completata entro il 2025). Simulazioni preliminari svolte dai ricercatori della Fondazione Eni Enrico Mattei indicano un significativo cambiamento del mix elettrico, con la riduzione della quota del gas di 10 punti percentuali compensata da un aumento sia del carbone di 2 punti che delle fonti rinnovabili di 7 punti percentuali.
Resta poi da coprire il consumo del settore residenziale, per il quale misure volontarie o obbligate di risparmio energetico potrebbero aiutare a ridurre i volumi da soddisfare mediante maggiori importazioni dalle altre provenienze geografiche e dal Gnl.
Si tratta naturalmente di speculazioni che non considerano il fattore tempo. Da un lato, la maggiore produzione nazionale non può essere attivata in breve tempo e lo stesso vale per l’espansione delle rinnovabili, anche se il governo è all’opera per sveltire le pratiche burocratiche di autorizzazione dei nuovi impianti. Dall’altro, però, i prelievi dovrebbero diminuire man mano che usciamo dall’inverno, anche se con la bella stagione si procede agli stoccaggi.
In sostanza, prima preoccupiamoci delle quantità, poi penseremo ai costi. Per il momento l’incertezza è ancora forte.