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Europa: Shale gas, rinnovabili ed efficienza verso la conferenza delle Nazioni Unite sul clima del 2013

Europa: Shale gas, rinnovabili ed efficienza verso la conferenza delle Nazioni Unite sul clima del 2013

di Massimo Preziuso

Il gas è uno dei principali ingredienti del mix energetico mondiale. È il più “pulito” tra le fonti fossili. Secondo i dati pubblicati da ENI in World Oil and Gas Review ([1]) nel 2011 l’intera umanità ha consumato circa 3.300 miliardi di metri cubi di gas naturale che corrispondono circa al 21% dei consumi primari di energia.

Le riserve mondiali di gas naturale  ammontano oggi a circa 196.000 miliardi di metri cubi. Se però a questo gas aggiungiamo anche quello “non convenzionale” (shale gas, tight gas e coal bed methane) la quantità a nostra disposizione per i consumi futuri raggiunge circa i 400.000 miliardi di metri cubi, sufficienti a soddisfare l’attuale livello di consumi per più di 250 anni. Guardando al futuro, da una lettura del World Energy Outlook 2012 dell’IEA si trova che il gas sarà la fonte a più alta crescita tra il 2010 e il 2040 (circa il 65%) –  che ne farà la seconda componente del mix energetico mondiale – e che tale crescita verrà in gran parte proprio dal gas non convenzionale.

Quando si parla di gas non convenzionale si fa generalmente riferimento a gas che fino a poco tempo fa era difficilmente sfruttabile perché tecnologicamente complicato o eccessivamente costoso. Tra le più promettenti fonti non convenzionali c’è lo “shale gas” ovvero gas intrappolato in accumuli di rocce argillose a profondità comprese tra 2000 e 4000 metri. Due sono le tecniche estrattive: trivellazione orizzontale e fracking idraulico. Entrambe sollevano diverse preoccupazioni. Il fluido che viene pompato nelle fessure della roccia per favorire la fuoriuscita del gas contiene sostanze chimiche dannose per la salute, che possono contaminare le falde acquifere. La fratturazione può rendere instabile il sottosuolo e causare terremoti.  Infine, l’enorme utilizzo di risorsa acquifera necessaria all’estrazione, rende in molti i casi i progetti non fattibili economicamente, in un mondo in competizione per una risorsa sempre più scarsa ([2]).

Nonostante ciò, durante il decennio 2000-2010 la produzione di shale gas è cresciuta da 10 a 140 miliardi di metri cubi (per confronto, in Italia si consumano poco più di 80 miliardi di metri cubi all’anno), soddisfacendo, da sola, circa il 23% del fabbisogno di gas naturale annuale degli Stati Uniti, che ne dovrebbe fare, insieme al petrolio (convenzionale e non), fattore di competitività internazionale, ottenuta sull’auto sufficienza energetica e conseguente contenimento della bolletta nazionale.

Oltre che negli USA, importanti risorse di shale gas si trovano in Canada, Europa (in particolare in Polonia, dove è presente anche la nostra ENI) e Asia, anche se le produzioni in queste aree non hanno ancora preso avvio, soprattutto per una attuale assenza di know – how avanzato e capacità di investimento.

Va notato inoltre che gli Stati Uniti investono decine di miliardi di dollari l’anno per le attività estrattive e – in assenza di innovazioni tecnologiche ulteriori – il costo dell’estrazione crescerà, portando sotto zero la marginalità economica associata allo shale gas.

In Europa la situazione è totalmente diversa. Di certo nel vecchio continente sono assenti le caratteristiche geologiche, geografiche e demografiche necessarie alla produzione in larga scala.

Oltretutto, con la crisi dell’ultimo quinquennio, oggi il vecchio continente soffre (anche di) eccesso di offerta energetica e le politiche europee si dirigono – almeno finora – verso uno sviluppo “carbon free” con obiettivi sfidanti di energia prodotta da fonti rinnovabili e di efficientamento energetico complessivo.

È pur vero che sul fronte delle politiche ambientali europee, la situazione si è fatta più problematica. In Paesi come l’Italia girano voci di un nuovo serio rallentamento del settore “rinnovabili” indotte da ulteriori abbassamenti delle tariffe incentivanti, potenzialmente anche “retroattivi”. Lo stesso avviene in “giovani campioni” del settore come la Romania.

Sul fronte dell’efficienza energetica, proprio grazie alla “non competitività” dei prezzi dell’energia in Europa, la situazione sempre invece vicina ad un positivo “momentum”. In Italia si dovrebbe approvare a breve il rifinanziamento delle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici. E nei prossimi mesi la Direttiva europea sulla efficienza energetica dovrebbe essere recepita.

Di efficienza, rinnovabili e gas non convenzionale si parlerà di certo alla prossima conferenza sul clima delle Nazioni Unite, che si terrà quest’anno proprio nella Polonia – terra dello shale gas.

La scelta del luogo fa intendere il pressing di molti di fare rapidamente di questa risorsa non convenzionale un fattore di “allontanamento” dalla tenaglia energetica che  principalmente il gigante russo, tramite Gazprom, ha posto sul vecchio continente. Nel 2011 infatti le importazioni di gas naturale in Europa provengono per il 67% da Russia e Norvegia, a seguire l’Algeria con il 15% e poi Qatar (6%). A favore di importazioni da occidente di gas (e petrolio) non convenzionale.

La partita è fortemente geopolitica ed, in teoria, alla lunga potrebbe portare ad una nuova centralità dell’occidente trainata proprio da una rivoluzione energetica.

Non a caso gli Stati Uniti hanno cominciato a parlare di “gas scisto” (così si traduce in italiano il termine shale gas) in tutti i principali consessi imprenditoriali europei. Stephen Eule, vice presidente dell’Istituto per l’energia del 21esimo secolo, alla riunione del Gruppo di lavoro Energia di BusinessEurope tenutosi a gennaio scorso, ha definito lo shale gas  “rivoluzionario” per il suo Paese, in termini di accresciuta competitività e sicurezza di approvigionamenti per il suo Paese, “consigliandone” l’adozione ai cugini europei, evidenziando un interesse storico degli Stati Uniti per uno sviluppo europeo indipendente dai “padroni del gas” russi, arabi, e nord africani.

In pochi mesi la “lobby dello shale gas” – guidata dalla Confindustria europea – sembra aver preso peso in Europa. Lo si è visto ad Aprile con la bocciatura alla proposta di slittamento delle aste di CO2 al fine di riportare in alto prezzi dei certificati di emissione “depressi”. E lo si rivede in questi giorni. Il 22 maggio il Consiglio Europeo ha discusso accuratamente sul tema “shale gas” attorno ad un documento che constata le difficoltà delle imprese europee nei riguardi di quelle statunitensi, che godono di prezzi del gas molto più bassi. E ha così aperto alla possibile produzione europea di shale gas proprio per la sua funzione di driver di competitività (e prezzi dell’energia), lasciando ai margini il problema climatico (ad essa fortemente associato).

Come nota Gianni Silvestrini l’effetto ulteriore dello shale gas statunitense sul mercato europeo è quello di aver già dato vita ad un nuovo mix di produzione energetica. Mentre infatti gli Stati Uniti producono – a basso costo – gas non convenzionale per usi prettamente interni, essi riversano in Europa un enorme surplus di carbone non più utilizzabile internamente, a causa delle nuove norme restrittive dell’Environmental Protecion Agency (EPA), rilanciato dalla nuova amministrazione Obama. Questo ha comportato effetti di spiazzamento (sul prezzo) per le centrali a gas europee. Lo si vede in Germania dove la produzione di metano diminuisce gradualmente. E tutto ciò impatta ulteriormente in negativo sul moribondo mercato ETS (European Trading Scheme).

È sempre più evidente che in Polonia andranno in scena due visioni contrapposte per la politica ambientale europea: tra chi guarda ad un alleggerimento dei vincoli ambientali interni per puntare sulla risorsa gas (convenzionale e non) quale fonte di competitività e di sicurezza energetica e chi invece ritiene necessario proseguire sulla strada della leadership ambientale puntando sulle tecnologie rinnovabili e sul risparmio energetico quali veri driver di innovazione tecnologica e sostituti delle fonti fossili nel lungo periodo.

Come andrà a finire? È presto per dirlo, ma molto dipenderà anche dall’andamento dell’economia del vecchio continente nei prossimi mesi di questo cruciale 2013.

Riferimenti bibliografici

  • 2013: The outlook for energy: a view to 2040, Exxon Mobil
  • Da Doha alla Polonia, il riscaldamento globale si discute dove si inquina di più, La Stampa,  Dicembre 2012
  • Shale Gas (a cura di Andrea Bellati), Quaderni ENI
  • World Energy Outlook 2012, IEA
  • World Oil and Gas Review, ENI
  • Energy challenges and policy. Commission contribution to the European Council of 22 May 2013
  • Il clima ostile alle rinnovabili e la lobby europea del fracking gas (di Gianni Silvestrini su Qualenergia.it del 27 Maggio 2013)

[1]   Sito web: http://www.eni.com/world-oil-gas-review-2012/wogr.shtml

[2]   2013: The outlook for energy: a view to 2040, Exxon Mobil

Centro per un Futuro Sostenibile Via degli Zingari, 15 - 00184 Roma (tel. +39 06.87570009)