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L’inverno artico non esiste più

L’inverno artico non esiste più

“La superficie del ghiaccio Artico oggi appare diversa. Specialmente in inverno. Quando lavoravamo sul ghiaccio per svolgere il nostro lavoro scientifico, il miglior periodo dell’anno era tra marzo e maggio, perché era freddo, ma c’era luce abbondante: potevi prendere l’aereo, atterrare sul ghiaccio, fare il tuo lavoro, e avevi 3-4 ore per lavorare, avevi condizioni comuni all’inverno.

Ma ora, il ghiaccio si sta già sciogliendo in quel periodo, e quindi c’è anche nebbia in maggio, anziché limpidità. Non ci sono più posti sicuri per atterrare con un aereo. Non puoi lavorare: non c’è più un vero e proprio inverno Artico. E questo è un grande cambiamento.”

Sono le parole di un luminare degli studi Artici, Peter Wadhams, professore di oceanografia fisica all’Università di Cambridge e leader di oltre 40 spedizioni polari dagli anni ‘70 ad oggi, ospite al Workshop Internazionale “The Climate Challenge in the Arctic.Environmental impacts, new opportunities and future policy options“, organizzato dall’International Center for Climate Governance lo scorso 6 maggio.

L’accelerato scioglimento dei ghiacci Artici dovuto ai cambiamenti climatici sta avendo e avrà importanti implicazioni ambientali, sociali, politiche ed economiche non solamente negli stati confinanti con la regione, ma a livello globale. Per la loro rilevanza negli equilibri geopolitici, le sfide poste da queste grandi trasformazioni nell’area Artica sono tra i temi su cui ICCG sta focalizzando la propria attività di ricerca.

Il workshop ha visto un confronto da parte di esperti internazionali, provenienti da diversi ambiti di ricerca, con il fine di approfondire la comprensione della questione e di proporre soluzioni alternative per affrontare i problemi di sicurezza nella regione. Ad una panoramica sulle evoluzioni della zona marina Artica e sugli impatti che la interesseranno sono seguiti approfondimenti economici e politici, che hanno analizzato le nuove opportunità dell’area e fornito una panoramica della normativa internazionale che ne regola la governance.

Guardando le immagini satellitari della Terra in estate, oggi prevale il blu anziché il bianco nella regione Artica” spiega il Prof. Wadhams, che ha testato sulla propria pelle, oltre che attraverso decenni di studi, i rivoluzionari cambiamenti degli ultimi decenni nell’Artico. “Il ritiro dei ghiacci, secondo i dati a disposizione, è iniziato intorno al 1950 e ha continuato ad accelerare da allora, specialmente negli ultimi dieci anni […]. Il riscaldamento è più rapido nell’Artico: vi è un fattore di amplificazione tra 2 e 4. Alle basse latitudini il riscaldamento globale è veloce, ma nell’Artico lo è fino a tre o quattro volte di più”.

I ghiacci Artici, un tempo presenti durante tutto il corso dell’anno, stanno progressiva

mente diventando ghiacci stagionali che scompaiono nelle stagioni estive. I modelli attualmente a disposizione degli scienziati non sono in grado di predire con sicurezza le evoluzioni future dell’area. Secondo alcune stime, in trent’anni l’estate Artica potrebbe essere libera dai ghiacci. Ma il trend del loro ritiro è in accelerazione e qualcuno suggerisce che i ghiacci estivi potrebbero scomparire nel giro di un decennio: “Non possiamo credere con certezza ai modelli a nostra disposizione, quelli che sono stati utilizzati nei rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change. Questi modelli non hanno dato una buona misura dei cambiamenti avvenuti finora nell’Artico, perciò non possiamo usarli con sicurezza per prevedere il futuro. Quello che manca sono alcuni processi fisici che sono ovviamente importanti ma non sono inclusi nei modelli. […] Dobbiamo essere in grado di ottenere un quadro migliore di cosa sta fisicamente accadendo, per migliorare i modelli, altrimenti siamo completamente persi: abbiamo bisogno di prevedere cosa succederà all’Artico, per capire come agire. […] In assenza di modelli adeguati, la cosa migliore che possiamo fare è estrapolare semplicemente i trend che ricaviamo dai dati e portarli avanti per alcuni anni dicendo “questo è quello che accadrà stando ai trend che possiamo vedere in questo momento” “  afferma il prof. Wadhams.

Wadhams ricorda che le trasformazioni dell’Artico non si limitano a rappresentare un “termometro” degli impatti dei cambiamenti climatici, ma sono anche un fattore (feedback) di accelerazione del riscaldamento stesso per due principali ragioni.

La prima è legata all’albedo climatica (la frazione della radiazione solare in arrivo che viene riflessa dalla superficie terrestre):

Una copertura nevosa o ghiacciata coperta di neve riflette circa l’80% della radiazione solare. Dove il ghiaccio è sciolto, l’acqua, la terra o la tundra riflettono circa il 10%. Il panorama sta cambiando da una superficie che rifletteva l’80% della radiazione solare ad una superficie in grado di rifletterne il 10%: il 90% verrà assorbito. Questo comporta un grosso aumento nella quantità di radiazioni assorbite dalla superficie terrestre, e questo rappresenta un’accelerazione al riscaldamento globale”.

La seconda allo scioglimento del permafrost (il terreno perennemente ghiacciato, presente primariamente nella regione Artica):

“Il metano è un gas serra molto potente: è circa 20 volte più potente dell’anidride carbonica. Se ne trova una percentuale molto minore in atmosfera, perciò l’anidride carbonica è il principale contributore al riscaldamento globale. Ma il metano è responsabile di circa un quarto del riscaldamento globale.[…]

In alto mare, c’è un fondale marino che in alcune aree è ancora ghiacciato dall’ultima Era Glaciale […] Quando questo permafrost si scioglie a causa del riscaldamento dell’acqua dell’oceano, il metano racchiuso nel ghiaccio esce sottoforma di bolle e raggiunge la superficie. Ma anche il permafrost sulla terraferma si sta sciogliendo e lo strato che si liquefa durante l’estate sta aumentando e tale area produce metano.

La stima del metano rilasciato dal permafrost offshore (al largo, n.d.r) è di circa 50 Gt. Abbiamo modellizzato quali potrebbero essere i suoi effetti sul clima e i risultati sono che aumenterebbe di circa il 15% il tasso di riscaldamento globale. Un modello economico ha stimato che il costo sarebbe 60 trilioni di dollari. Stiamo parlando di un effetto molto importante sull’economia globale in arrivo dalle emissioni di metano nell’Artico”.

Lo scioglimento dei ghiacci Artici consente una sempre più agevole navigabilità della zona e offre di conseguenza diverse opportunità economiche: dalla semplificazione delle rotte dei commerci al settore turistico, dalla pesca alle estrazioni di fonti fossili (si veda il precedente post sull’argomento “Nuove sfide dall’Artide”). Tuttavia, alle opportunità si affiancano importanti rischi, primi tra tutti i rischi ambientali legati alle trivellazioni per l’estrazione del petrolio e del gas naturale (si stima che il 20% del potenziale di idrocarburi inesplorato si trovi nell’area Artica), cui si aggiungono rischi sociali legati ai potenziali conflitti che interessi contrastanti possono alimentare. Ed è proprio per questo che le trasformazioni Artiche sono un problema anche politico che riguarda la governance globale.

In sintesi, gli attuali modelli non colgono la rapidita’ con cui i ghiacci artici stanno sciogliendosi. E’ un fenomeno piu’ rapido di quello che la scienza riesce a comprendere. E per questo e’ anche piu’ preoccupante. Allo stesso tempo, lo scioglimento dei ghiacci apre importanti opportunita’ sul piano economico. Che pero’ vanno adeguatamente governate. L’Artico e’ un altro bene pubblico globale che richiede visione, lungimiranza e cooperazione internazionale.

 

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