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ETS, il Parlamento Europeo boccia il rinvio delle aste CO2

ETS, il Parlamento Europeo boccia il rinvio delle aste CO2

 di Massimo Preziuso

La crisi economica europea ha fatto danni incalcolabili al continente. Soprattutto, alle direzioni di marcia innovative che l’Unione Europea aveva preso nel decennio precedente. Se si pensa alla leadership europea sulla questione ambientale I danni arrecati sono enormi.

E’ di questi ultimi giorni (martedì scorso) la notizia del rinvio decisionale del Parlamento Europeo sullo slittamento temporale delle quote di emissione (il cosiddetto “back loading“) richiesto dalla Commissione europea per fare fronte al drammatico problema del quasi azzeramento dei prezzi dei certificati di emissione negoziati nel cosiddetto EU ETS (European Union Emissions Trading Scheme).

Principale strumento europeo per il contrasto ai cambiamenti climatici, ETS ha – dalla sua nascita nel 2005 – dato il via ad un segnale di prezzo che influenza le decisioni di investimento strategico ed operativo a livello industriale ed economico.

Dal 2013, con l’inizio della fase 3 (fase di maturità che durerà fino al 2020) ETS copre circa la metà delle emissioni di gas nocivi (GHS – Greenhouse gas) emesse nella Unione Europea (“11,000 power stations and industrial plants in 31 countries, as well as airlines”).

Nonostante la maturità dello strumento finanziario, l’ultimo report sul carbon market (2012) della Banca Mondiale già descriveva “un mercato che nel 2011 era cresciuto dell’11% a $173 bln e transava circa MT 10 bln di CO2”. Ma che nel contempo vedeva ridursi “le quantità di CDM (clean development mechanism – ovvero quei certificati emessi per progetti di riduzione di emissioni nocive sviluppati nei paesi “emergenti”)” a testimonianza di una crisi economica forte che già aveva impattato sulla dinamica dei prezzi dei certificati principali, I cosiddetti EUA (European Union allowance).

Di conseguenza, la proposta della Commissione Europea di fine 2012 prevedeva di congelare l’asta 2013-2015 (900 milioni di tonnellate di quote di emissioni CO2) spostandola al 2019-2020 al fine di portare ad un aumento di prezzo di vendita dei certificati (che dal 2012 ruotano attorno ai 5-10 euro per tonnellata rispetto ai 20-30 del 2008, ed in questi giorni ai 3 euro).

Il problema del crollo del mercato ETS è certamente conseguenza lineare della crisi dei consumi e della produzione (energetica) derivata da questa incredibile crisi quinquennale non ancora conclusa, che ha comportato un netto abbassamento di emissioni di CO2.

Come in ogni mercato, si è assistito a ciò che accade quando l’offerta di un bene (in questo caso i certificati di emissione, allocati alle industrie energivore per più anni successivi, secondo previsioni ottimistiche di crescita fatte precedentemente alla crisi) supera fortemente la domanda (degli stessi certificati): il prezzo del bene crolla.

Tabella 1: Offerta e domanda di certificati di emissione nel periodo 2008-2011

(in Mt)                                                                      2008  2009  2010  2011  Total

Offerta totale:

Certificati emessi e crediti internazionali utilizzati   2076  2105  2204  2336  8720

Domanda: emissioni certificate                               2100  1860  1919  1886  7765

Surplus di certificati emessi cumulato                        -24   244    285    450    955

 

In risposta a questo problema di “sopravvivenza”, attraverso il meccanismo del “back loading” , la commissione europea cerca di “spostare” una grande quantità di offerta nel biennio 2019-20 quando (ad oggi) si “spera” di ritrovarsi in una economia più “green” ed in crescita, in cui sarà il mercato economico a disincentivare sempre più le produzioni inquinanti

Con tale mossa si avrebbe un riallineamento graduale dei prezzi dei certificati a quei livelli (15-30 euro per tonnellata di CO2) che gli permettono di essere effettivi nel sollecitare le economie a spostarsi dai settori altamente energivori e inquinanti su cui oggi ancora risiedono a quelli cosiddetti “green”, grazie ad flusso di investimenti pubblici e privati generati.

Quello che è accaduto in questi giorni dimostra infatti che – al fine di raggiungere margini industriali soddisfacenti necessari per sopravvivere in un mercato globale sempre più competitivo – dal 2012 le industrie energivore europee si concentrano fortemente sugli “economics” di breve periodo, e quindi provano ad alleggerire la propria bolletta energetica tornando (o rimanendo) fermi su produzioni inquinanti.

In questa scelta l’abbassamento dei prezzi dei certificati di emissione li facilita enormemente, in quanto la “penalità ambientale” dell’emissione nociva associata alla scelta “inquinante” è sempre meno onerosa per I bilanci aziendali.

Nei giorni precedenti al voto del Parlamento Europeo di questa settimana si sono così viste spaccature evidenti e trasversali tra settori (politici ed industriali) interessati al cambiamento sostenibile di lungo periodo e quelli interessati alla sopravvivenza di breve. Da un lato il  centro sinistra (PSE) con le utility energetiche a favore del “back loading” dall’altro il PPE (e quasi tutto il centro destra) con la confindustria europea (guidata dalla italiana Mercegaglia) interessati al breve periodo, incuranti del tema strategico ambientale.

Prevalendo questi ultimi, con 334 voti contro 315 (e 63 astenuti), il dibattito sul “back loading” è stato rimandato alle commissioni del Parlamento Europeo, dopo che la commissione ambiente lo avevo ritenuto positivo. Ad opporsi nettamente è stata la Commissione parlamentare industria, presieduta da Amalia Sartori, secondo cui l’aumento dei prezzi delle quote sarebbe ricaduto su quelli per l’industria.

E’ necessario adesso un rinnovato lavoro a livello nazionale, che spinga a ri-portare al centro del dibattito istituzionale europeo il tema della sostenibilità ambientale come unico motore di rilancio dell’economia europea in un contesto di competizione globale con giganti come la Cina che oltretutto cominciano a studiare seriamente anche su questo fronte (da qui la possibile nascita di un ETS cinese). Ovvero a tornare almeno parzialmente a quel 2009 della conferenza sul clima di Copenaghen, quando l’Unione Europea ambiva a fare di ETS il propulsore per la nascita di un mercato globale delle emissioni, ad un “global carbon market”.

Se ciò non dovesse avvenire presto, l’Unione Europea rischierà di perdere una delle poche leadership rimaste: quella dell’innovazione culturale – politica sul tema ambientale. E di trovarsi rapidamente in un percorso di involuzione tecnologica nel settore energetico ed industriale, di cui già si vedono I primi segni.

Per esempio, come conseguenza della crisi, il governo spagnolo è oggi seriamente indeciso sul supporto al “back loading” mentre la Gran Bretagna, a seguito dello stallo del carbon market ETS, sta rimettendo in discussione il suo “carbon price floor” (una sorta di “carbon tax” legata al mercato ETS, con cui il governo Cameron ha provato negli ultimi mesi a creare maggiore stabilità regolatoria per gli investimenti green nel Paese) che oggi – a causa dei prezzi depressi dei certificati ETS – diventa un serio fattore di non competitività dell’ industria anglosassone. E lo stesso potrebbe accadere su altri mercati innovativi come quello australiano.

Secondo gli analisti di Point Carbon, in assenza del back loading, I prezzi dei certificati EUA si stabilizzeranno sotto I 5 euro per tonnellata per tutta la terza fase 2013-2020 di ETS. Se invece la soluzione del back loading venisse approvata in via definitiva questo permetterebbe di tappare una pericolosa falla nel principale strumento scelto dall’Europa per ridurre le emissioni e contrastare i cambiamenti climatici.

Nel contempo è evidente che i problemi di fondo resterebbero in piedi e riguardano la creazione di un mercato delle emissioni che è altamente instabile e perturbabile da fattori esogeni (econimici). Alcune soluzioni di lungo termine sono state proposte recentemente in “Report from the Commission to the European Parliament and the Council – The state of the European carbon market in 2012”. Tra le sei opzioni messe sul tavolo, quelle più interessanti riguardano l’aumento dell’obiettivo di  riduzione delle emissioni dal 20 al 30% e la contestuale inclusione di altri settori nel sistema Ets (questa l’unica misura ad incidere sulla domanda, a parità di condizioni dell’economia del continente).

La partita è aperta ed è fortemente politica.

Documenti bibliografici

European Commission – Climate Action: http://ec.europa.eu/clima/policies/ets/index_en.htm

Report from the Commission to the European Parliament and the Council – The state of the European carbon market in 2012

State and Trends of the Carbon Market Report 2012 – World Bank

www.pointcarbon.com

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